Le testimonianze più antiche del Persiano scritto si trovano in diverse iscrizioni, ma sono di interesse specificamente storico. Le prime opere definibili come letterarie sono gli scritti del Mazdeismo, la religione di Zarathustra, e quelli di epoca Arsacide e Sassanide, quando certamente già esisteva una produzione letteraria persiana.
Queste testimonianze non sono molte, e le principali, insieme con i testi religiosi delle comunità zoroastriani, sono raccolte di detti, un romanzo storico (il Libro delle gesta di Ardashir) e frammenti di un’epopea.
La poesia era prerogativa dei menestrelli, poeti-musici dei quali ci sono giunti alcuni nomi, come Barbod, il favorito di Khosrow Parviz; ma le loro opere non venivano mai messe per scritto e quindi sono andate perdute. Frammenti della poesia religiosa dei Manichei sono stati recuperati dagli archeologi, e la loro qualità è tanto raffinata da indurre a pensare che appartenessero ad una tradizione ben consolidata – ancor oggi se ne trovano persino in territorio cinese.
L’invasione araba del VII secolo d.C. fece dell’Arabo la lingua letteraria e dell’Islam il tema predominante nella letteratura: molte fra le opere più importanti della letteratura araba furono scritte da Persiani. La lingua Farsi riemerse come linguaggio letterario nel IX secolo d.C., e nei secoli successivi si verificٍa la potente fioritura della letteratura persiana classica (per lo più poesia, la poesia più varia e ricca di tutto il mondo islamico) che si sviluppٍa per oltre un millennio, diffondendosi ben al di là dei confini dell’altopiano iranico, sino a trovare estimatori e imitatori nell’Asia Minore, nell’Asia Centrale e nelle comunità musulmane dell’India – si puٍò dire che le letterature turca e indiana crebbero sotto la sua influenza.
Tra i più antichi poeti conosciuti in quest’ambito si devono ricordare Rudaki e Daqiqi. Del primo, il poeta cieco che visse attorno al 940 d.C., rimangono poche testimonianze, sebbene si ritenga che egli scrisse parecchie migliaia di opere in versi. Daqiqi fu un poeta epico, e venne incaricato per primo di scrivere uno Shahnameh (il “Libro dei Re”), ma morى dopo averne realizzato solo una piccola parte: il suo compito sarebbe stato ripreso e completato in modo eccelso da Ferdowsi.
Il grandissimo poeta Ferdowsi, che si puٍò considerare il Dante o l’Omero della letteratura persiana, nacque nel 940 d.C. a Tus, nei pressi di Mashhad; e solo a quarant’anni cominciٍ a scrivere il poema epico della nazione persiana Shahnameh. Gli occorsero circa trent’anni per comporre i sessantamila distici del poema, che narra la storia, in gran parte mitologica, dell’Iran sino all’epoca sassanide, e per il quale Ferdowsi rifiutٍò l’uso del lessico arabo, sostituendolo con termini ed espressioni di pura origine persiana. Per questo lavoro gli erano state promesse tante monete d’oro quanti distici avrebbe scritto; ma quando, nel 999 d.C., egli terminٍa quell’opera gigantesca, il sultano Mahmoud Ghaznavi decise di compensarlo in monete d’argento. Ferdowsi rifiutٍ, offeso e indignato, e tornato a Tus compose una violenta invettiva contro il Sultano. Ferdowsi morى poverissimo, ma il suo Shahnameh lo ha reso immortale e rimane ancora nel cuore di qualsiasi Iraniano come simbolo e sintesi dello spirito persiano.
Fra i quattrocento poeti di corte che attorniavano Mahmoud Ghaznavi, alcuni sono ricordati tuttora come significativi sotto il profilo letterario (Ancori, Farrokhi, Manouchehri); e cosى anche al-Biruni, non poeta ma storico e scienziato, che scrisse le Antiche Tradizioni.
La letteratura classica persiana si sviluppٍa grazie a due potenti patrocini: quello dei re e quello del clero. Sebbene i più antichi frammenti con versi persiani risalgano addirittura all’VIII secolo d.C., la storia conosciuta di questa letteratura cominciٍ nel IX secolo, come si è detto, mentre iniziava il declino del califfato di Baghdad. Nuove dinastie reali andavano nascendo in diverse zone dell’Iran, intenzionate ad affermare la propria indipendenza dai califfi, e ciascuna di esse invitava a corte e proteggeva studiosi, poeti e scrittori. Per esempio, fu alla corte dei Samanidi di Bukhara che il grandissimo filosofo persiano Ibn Sina (Avicenna) interpretٍ i testi di medicina e filosofia degli antichi Greci e ne trasse spunto per costruire il proprio percorso di pensiero – fino a due secoli fa le opere di Avicenna venivano normalmente usate come libri di testo in alcune scuole di medicina europee.
Fiorى in questo modo anche la prosa (racconti, favole, allegorie, oltre che opere filosofiche e scientifiche): i suoi prodotti più rilevanti furono le storie, molte delle quali di qualità assai superiore ai modelli arabi.
L’epoca selgiuchide fu una delle più significative nell’ambito letterario. Nella prosa, si distinsero Ghazali, che riassunse nel trattato in lingua persiana La pietra filosofale della fortuna il proprio gigantesco trattato in lingua araba Rivificazione delle scienze religiose; Bayhaqi (Storia dei Ghaznavidi); Nezam ol-Molk (Libro di politica); Kaykavus (Libro di Qabus). Rimasero inoltre celebri le opere di Nezami Aruzi; le favole come quella di Kalileh va Demneh. Celebre è il poeta e scienziato Nasser Khosrow, di cui si conoscono i libri di viaggio (il Safarnameh) e circa trentamila versi, in lunghe odi di soggetto religioso e morale.
Uno dei più grandi fra gli esponenti della letteratura persiana classica fu senz’altro Omar Khayyam (XI secolo d.C.), poeta e matematico, probabilmente anche il più conosciuto oggi in Occidente, grazie alle numerose traduzioni del suo Rubaiyat – tanto conosciuto e variamente interpretato che sarebbe impossibile darne conto completamente in questo spazio.
All’epoca selgiuchide appartennero anche altri giganti, quali Ancori, Abu Sa’id, Baba Taher, Masoud Sa’d Salman, Gorgani (sua è la storia di Veis va Ramin) e Sana’i (dal canto loro, Mo’ezzi, Anvari e Khaqani divennero maestri in quella poesia persiana che è di stile tanto sofisticato da rendere difficilissima qualsiasi traduzione, ragione per la quale sono meno noti in Occidente), e soprattutto i due eccelsi poeti del Sufismo Farid ad-Din Attar e Jalal ad-Din Rumi Mowlana (o Mowlawi). Quest’ultimo, nato a Balkh (Khorassan) nel 1207, riprese un’altra forma della poesia araba, il masnavi, poco usato dagli Arabi stessi ma già innalzato ai gradi più alti dell’arte da Ferdowsi nello Shahnameh: le sue opere, il Divan e il Masnavi spirituale, sono raccolte di pensieri mistici e insegnamenti in forma di racconti e discorsi, e lo rendono probabilmente, secondo la definizione di Arberry, il supremo poeta mistico di tutta l’umanità.
Molti considerano come il più grande poeta persiano Shams ad-Din Mohammad Hafez (nato a Shiraz probabilmente nel 1318); altri ritengono che Mosleh ad-Din Abdollah Sa’di (nato anch’egli a Shiraz nel 1184) gli sia superiore. Entrambi, comunque, lasciarono esempi di poesia tra i più alti della letteratura mondiale. La poesia persiana aveva ereditato alcune forme e strutture dalla poesia araba: la prima ad essere adottato era stata la ghasideh, o “poesia che ha uno scopo”. I poeti persiani alle corti dei califfi avevano già composto in questa forma, ma soprattutto armonizzando i propri versi alla prosodia araba, usata per lodare e celebrare i principi, ammirare la natura ed esecrare i nemici. Ugualmente ereditato dalla letteratura araba era stato il ghazal, simile alla precedente perché segue una rima singola, e sviluppato dai Persiani fino a diventare la forma più popolare di poesia per brevi liriche d’amore, pensieri mistici e metafisici, lamentazioni riguardo al destino e allo scorrere del tempo. Hafez è conosciuto come il maestro assoluto nel ghazal, non solo per la bellezza dello stile ma anche per i contenuti del suo Divan; Sa’di aveva invece elevato ai massimi livelli artistici la ghasideh con il suo Golestan.
Dopo il XV secolo, e soprattutto in epoca Safavide, con l’affermarsi di una sorta di manierismo formalistico, la letteratura persiana entrٍa in un periodo di declino che sarebbe durato fino al XIX secolo. Nel XX, l’influenza dell’Occidente e le lotte per l’indipendenza e la giustizia sociale portate avanti all’interno dell’Iran resero predominanti i temi politici e sociali, ed anche il linguaggio divenne più semplice e diretto, meno raffinato forse, ma certo più efficace e “moderno”. Tra i nuovi poeti uno dei più amati dalla popolazione iraniana è certo Nima Yushij, insieme con la poetessa Forugh Farrokhzad, ma non si possono trascurare Sohrab Sepehri, Parvin E’tesaami, Ahmad Shamlou, Iraj Mirza, Aref Qazvini, Mirzadeh Eshghi, Adib Pishavari, Simin Daneshvar (moglie del celeberrimo Jalal al-Ahmad). Nel frattempo, anche il romanzo, che fino ad allora era rimasto pressoché estraneo agli scrittori persiani, abituati a privilegiare le storie brevi e soprattutto gli aneddoti, entrava a far parte delle forme letterarie iraniane.